Piangere e ridere davvero. Feuilleton.
Il melangolo
Genova 2009
9788870187298
Qualche anno fa milioni di persone hanno pianto per la morte di Lady D, e non è difficile immaginare un carcerato nel braccio della morte che piangeva come un vitello guardando i funerali. Bene, nessuno ha dubitato che il pianto delle folle, condannato a morte compreso, fosse un pianto autentico.
Ma se le cose stanno così, se un carcerato nel braccio della morte piange veramente per Diana Spencer, perché c’è chi sostiene che chi piange per Anna Karenina non piange davvero?
E perché, d’altra parte, nessuno ha mai dubitato che chi ride delle barzellette, che sono racconti di finzione, rida davvero?
Che cosa significa piangere e ridere davvero?
Mescolando cultura alta e cultura bassa, Maurizio Ferraris ci offre uno straordinario feuilleton filosofico che indaga i paradossi dell’arte e della vita.
“Come ridere di cuore”, di Anna Li Vigni, Il sole 24 ore, 3 maggio 2009
Nelle sitcom televisive, le battute dei protagonisti sono spesso accompagnate da risate preregistrate, definite tecnicamente “risate finte” (laff box). Le disgraziate vicende degli eroi delle soap opera, invece, non hanno bisogno dell’accompagnamento di piagnistei preregistrati, perché con facilità riescono a provocare il pianto nelle spettatrici affezionate. Senza riso e senza pianto non c’è divertimento, non c’è “godimento estetico”. Ma si tratta di riso e di pianto veri?
Con implacabile verve argomentativa e con irresistibile umorismo, Maurizio Ferraris affronta, nel suo recente volumetto Piangere e ridere davvero. Feuilleton, il tema della “verità” del riso e del pianto che in noi provocano la fruizione delle opere d’arte così come gli eventi della vita.
È un vero pianto quello provocatoci dalla lettura di Anna Karenina gettatasi sotto un treno? O si tratta, forse, di un pianto meno vero di quello che potremmo esibire a un funerale? La conclusione di Ferraris è sorprendente. Raramente si può avere la prova comprovata della sincerità delle lacrime prodotte a un funerale: se scaturiscono, ad esempio, dal ciglio di un ex marito alle esequie della sua prima moglie. Le lacrime provocate dalla lettura del romanzo Anna Karenina, invece, sono certamente vere, poiché le vicende narrate da Tolstoj, per quanto fittizie, provocano tristezza vera. Il “paradosso della finzione” – cioè il piangere davvero per fatti non veri – è un falso paradosso: i sentimenti suscitati dalla finzione di un film, di una soap opera o di un romanzo, sono reali e incontrovertibili.
Rimane tuttavia da capire il perché andiamo a cercare, nelle opere di fiction – per esempio i film horror – quelle disgrazie orribili che nella vita vogliamo assolutamente evitare. Dialogando con Aristotele e con Hume, Ferraris risponde così: in primo luogo, la sventura rappresentata dall’arte allontana da noi il pensiero delle sventure reali, immunizzandoci dalle nostre paure (teoria della catarsi); in secondo luogo, nell’arte, le sventure sono narrate con una certa grazia che ce le rende “piacevoli”. A ciò contribuisce anche la consapevolezza che il male è solo una finzione: se sapessimo che le torture inflitte a un personaggio di un film sono vere e che l’attore non sta recitando, ne saremmo per certo disgustati. Eppure tutti i giorni assistiamo – il più delle volte senza piangere – alla narrazione di disgrazie vere che i sapienti montaggi dei notiziari tv ci propinano come fossero eleganti fiction da prima serata, capaci di “anestetizzarci” rispetto alla realtà.
Il curioso sottotitolo del saggio di Ferraris recita Feuilleton: la teoria del sentimento da feuilleton potrebbe fornire una spiegazione per fenomeni inspiegabili, come il funerale di Lady Diana, che ha commosso milioni di cuori, anche i più duri, essendo stato raccontato dalla tv come una triste favola.
La conclusione è che tutti i tipi di pianto e di riso sono veri. Eccezion fatta per il pianto “fenomenologico”, quello provocato dalle cipolle, che non è mediato da alcun sentimento. E per il riso “fenomenologico”, quello scatenato dal solletico.
Anche la commedia ha un suo paradosso: consiste nell’amare la narrazione di fatti ridicoli occorsi a personaggi peggiori di noi. Perché mai dovremmo andare a cercare, in un film con Massimo Boldi o in una barzelletta, la compagnia di “tamarri” che non vorremmo assolutamente come compagni di ombrellone in spiaggia? Perché mai i tamarri ci fanno ridere? La risposta di Ferraris è astuta. Innanzitutto nessuno sa cosa sia esattamente un tamarro e soprattutto «nessuno sa, nel fondo della sua coscienza, se lui stesso sia o meno un tamarro». Nel dubbio, ridere dei tamarri è una buona strategia per voler credere che i tamarri siano gli altri e non siamo noi.
Valerio Magrelli sulla filosofia pop, La Repubblica, 26 marzo 2010
«Perché parlare di tragico pare filosofico e parlare di comico no? Perché si può andare in cattedra con un libro su Heidegger e non con un libro sulla pornografia? Perché i miti sembrano una gran cosa e le barzellette no? Ed è così da sempre, o dipende da una involuzione moderna della filosofia?». Tempo fa, con questa incalzante serie di interrogativi, Maurizio Ferraris, Ugo Perone e Alberto Voltolini hanno introdotto un ciclo di incontri torinesi dedicato alla Filosofia Pop. Affermatasi ormai da vari anni in area angloamericana (ma sulle tracce dello strutturalismo), questa tendenza mira ad applicare gli strumenti della tradizione speculativa a esempi di cultura popolare, un po´ sul genere dei Miti d´oggi di Roland Barthes. Lo ha spiegato bene la studiosa statunitense Avital Ronell, affermando che, se Aristotele scrivesse adesso, si occuperebbe di soap opera.
L´idea di fondo della filosofia pop, insomma, è che non c´è niente di intoccabile: nulla di tanto alto da non poter essere criticato, nulla di così basso da non meritare una considerazione filosofica. Da qui l´idea di affrontare sia temi classici in forma non convenzionale, sia temi che hanno piena dignità teorica, ma che per qualche motivo sembrano marginali.
Grande fortuna ha avuto a tale riguardo il volume Matrix e la Filosofia (a cura di William Irwin e Vincenzo Cicero, Bompiani), dedicato a quel film dei fratelli Wachowski che fra l´altro, nel 2003, fu oggetto di un convegno nel segno di Platone cui parteciparono lo stesso Ferraris, Giulio Giorello, Diego Marconi e Carlo Sini. Sulla stessa linea si colloca il recente Stramaledettamente logico. Esercizi di filosofia su pellicola, a cura di Armando Massarenti (Laterza), che affronta alcune cruciali domande filosofiche basandosi su altrettante sceneggiature per il cinema. Tuttavia, chi si è più concentrato su questo filone di ricerca è stato forse Simone Regazzoni, prima con Harry Potter e la filosofia (il nuovo melangolo), poi con La filosofia di Lost (Ponte alle Grazie), infine con un testo appena uscito a sua cura con il titolo Pop filosofia (il nuovo melangolo, pagg. 253, euro 15). Gli undici capitoli del libro spaziano dall´analisi della pop music di Michael Jackson a quella della fiction televisiva italiana e straniera, passando attraverso l´esame di un film come Mucchio selvaggio di Sam Peckimpah. Il lettore è avvisato: il gioco consisterà nel sottoporre prodotti di consumo al vaglio critico, per osservarne la configurazione, il funzionamento, l´ideologia sottaciuta. Non a caso, l´intera operazione si colloca nel solco di quanto scrisse Peter Sloterdijk: «Noi non dobbiamo essere titubanti nel pensare oltre i confini dell´attività accademica. La crisi complessiva dei nostri giorni dovrebbe spingere la filosofia che si è rinchiusa nel grembo delle università ad abbandonare il suo nascondiglio».
Vediamo allora come procede questa opera di smontaggio. Mettendo da parte alcuni saggi meno immediati per il lettore-spettatore italiano (che forse non sempre conosce certe serie televisive come Mad men, o certe graphic novel quali Asterios Polyp), cominciamo da Sex and the City. Nelle loro sedute di autocoscienza post-moderne, spiega Francesca R. Recchia Luciani, le quattro protagoniste femminili non fanno che cercare il senso della propria esperienza. Inoltre la modalità interrogativa con cui la giornalista Carrie avvia ogni suo articolo (mettendo così in moto il plot che caratterizza ogni singolo episodio), si mostra come un esercizio eminentemente filosofico. La sua è una vera e propria indagine di antropologia sessuale, e come tale viene esaminata dalla studiosa, vuoi ricorrendo alla riflessione offerta da Michel Foucault, Giorgio Agamben o Jean-Luc Nancy, vuoi accostandola ad alcuni esiti dell´arte contemporanea (Jeff Koons, Tracey Emin, Sophie Calle).
I nomi di Foucault e Agamben, insieme a quelli di Gilles Deleuze e Paolo Virno, tornano anche nell´esame di Romanzo criminale, il romanzo di Giancarlo De Cataldo in cui Lorenzo Fabbri scorge una autentica “cartografia politica” della forma-Stato e in genere della società di controllo. Con una specie di lunga zoomata, le vicende della banda della Magliana finiscono per incrociare le più sofisticate meditazioni sui dispositivi di repressione, tracciando un nero ritratto dell´Italia del secondo dopoguerra. Qualcosa di analogo si verifica anche nel saggio di Giulio Itzcovich sulla versione inglese del Grande fratello, mentre il saggio del collettivo Wu Ming 1 sul film 300 di Zack Snyder propone un apertura differente.
Attraverso il concetto di “tecnicizzazione del mito” formulato da Furio Jesi, la pellicola finisce per svelare la sua natura sostanzialmente banalizzata, caratterizzata da una serie di falsificazioni storiche. Una volta superato lo sconcerto che nasce dallo squilibrio fra l´oggetto studiato e il mezzo impiegato nella sua analisi, prestazioni critiche tanto brillanti e acute portano a dire che la Pop filosofia ha vinto la sua scommessa. Tuttavia, sarebbe più giusto affermare che la sua funzione, per quanto utile come esercizio di decifrazione, appare decisamente secondaria rispetto a quella dell´elaborazione teorica vera e propria. Ben venga questo tipo di ricerche, a patto però di tenere ben distinte le due fasi del processo speculativo: una cosa è applicare uno strumento ai più diversi aspetti della cultura di massa, un´altra, assai più complessa, riuscire a forgiarlo.
Rassegna stampa
- 18/05/2009 La Stampa, “Pop o papi, questo è il problema” di Maurizio Assalto
- 20/05/2009 Pagina Tre (www.paginatre.it), “Elisabetta Brizio – «La verità del piangere e del ridere. Note sull’ultimo libro di Maurizio Ferraris»” di Matteo Veronesi
- 08/06/2009 Il Secolo XIX, “Piange il filosofo” di Giuliano Galletta